Mai come in questa guerra abbiamo visto tanti volti femminili. Non solo nelle immagini-simbolo di una comunità ferita e in fuga dall’orrore, ma anche come numero di reporter inviate sul fronte per raccontarci cosa sta accadendo. Marina Ovsyannikova, la giornalista della Tv russa che ha protestato in diretta contro la guerra e le “bugie che ho contribuito a raccontare” – come ha detto nei social – è solo l’ultima testimone di questa svolta.
ALCUNI NOMI
Sono moltissime le giornaliste italiane mandate in prima linea dalle varie testate o freelance, le stiamo conoscendo tutti attraverso i loro articoli o servizi televisivi o blog. Professioniste coraggiose, che da tempo seguono le guerre come Francesca Mannocchi (La7, La Stampa, l’Espresso), o come Stefania Battistini (Rai), Cecilia Sala (Il Foglio), Annalisa Camilli (Internazionale), Marta Serafini (Corsera), Azzurra Meringolo (Radio Rai), Maria Grazia Fiorani (Tg3), Gabriella Simoni (Tg5), e tante altre (come non ricordare Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutulli, morte in Somalia e in Afghanistan).
Anche all’estero le giornalista sono protagoniste di questo racconto di guerra: Toma Istomina di Kyiv Independent, Sarah Rainsford di BBC, Polina Ivanova del Financial Times, Isabelle Khurshudyan del Washintong Post, Clarissa Ward di CNN, Lynsey Addario del New York Times, María R. Sahuquillo di El Pais, e l’elenco potrebbe continuare.
CHE C’E DI STRANO?
In Italia le giornaliste, secondo i dati Inpgi, sono il 42% (a cui forse bisognerebbe aggiungere le freelance). Quindi cosa c’è di strano se gran parte dei reporter dal fronte sono donne, considerando fra l’altro che solo una piccolissima percentuale ricopre posti di comando stanziali? E’ vero, ma questa volta sono molto più numerose e visibili. E sono forti, determinate, accurate, capaci di fare rete fra di loro e sostenersi a vicenda. Una su tutte, l’abbiamo citata, Francesca Mannocchi: madre, portatrice di una malattia importante su cui ha scritto un libro (Bianco è il colore del danno), è la giornalista freelance che per prima ha registrato le devastazioni in Ucraina. Quando è partito il conflitto, era già al confine, sapeva che stava succedendo.
Secondo l’annuale monitoraggio sul pluralismo dell’informazione nell’Unione Europea fatto dal Centre for Media Pluralism and Media Freedom dell’Istituto Universitario Europeo, l’Italia nel 2020 era tra i paesi a maggior rischio per l’indicatore della presenza delle donne nei media. E per il Global Media Monitoring Project, il periodo della pandemia ha aumentato lo squilibrio. Ma qualcosa sta cambiando se neanche la guerra, come si vede, fermerà la storia.