POST – 1 FEB
Da alcuni giorni non riesco a seguire le news. E’ la prima volta che mi succede, sono sempre state il mio pane, il mio lavoro, i miei studi. Ma qualcosa, a questo giro, mi inquieta. Profondamente. Non sento corrispondenza fra i fatti – così gravi, così densi – e le parole di chi occupa la scena. Le parole della politica. Le parole del giornalismo main stream. Le parole dello show (che mischia vorticosamente tutto insieme). Perfino le parole dei medici. C’è una tale distanza fra ciò che provo e ciò che ascolto, fra ciò che vorrei sentire e quello che ci viene detto, che la mia mano automaticamente clicca su off. Silenzio. Pausa. Esco dal gioco. Non è bello, lo so, ma ammalarsi di parole fuori luogo e fuori sentimento è peggio.
In questo campo off line, temporaneamente disconnesso, tornano in superficie parole fuori contesto. Per esempio gratitudine. O compassione. Mi fanno stare bene. Mi curano. Tornare umani, in questo tempo così struggente, così doloroso, è una terapia efficace. Aderire alla verità: non fuggire. Sentire la paura di ammalarsi, di perdere persone care, di morire: non vergognarsene. Accettare il limite (che la pandemia ha reso così visibile). Volersi bene. Ringraziare molto, moltissimo, chi si sta caricando di responsabilità necessarie. Perdonare, perdonarsi. E’ non dare spazio a queste voci dell’anima a produrre dosi invisibili di rabbia che esplodono ovunque e quando meno te lo aspetti?
Suggerisco un passo semplice, direi artigianale: il diario della gratitudine. La psicologia moderna lo utilizza. E’ dimostrato che allenare la mente a ringraziare ciò che di buono abbiamo ricevuto quel giorno o quella settimana o quell’anno, provoca reazioni positive a catena come una riduzione dello stress, la crescita dell’autostima e del benessere, la predisposizione verso gli altri, nel caso dei ragazzi perfino un miglior rendimento scolastico.
E torno alla politica: voi state bene senza sentire il bisogno di dire grazie, per esempio, a un premier per caso che in quei mesi di terrore era l’unico gancio a cui appenderci? Vi sentite a posto senza dire almeno a voi stessi che nei suoi panni vi sarebbero tremati i polsi, che il conto degli inevitabili errori quotidiani vi avrebbe paralizzato, che la totale incertezza su quello che stava capitando vi avrebbe fatto nascondere dietro a sagome altrui? I ragazzi di casa non sapevano neanche chi fosse, fino a lui, il presidente del consiglio. Ora non solo lo sanno, ma hanno seguito le procedure per il cambio con Draghi dalla A alla Z. E’ la prova che anche i bambini, i ragazzi, cercano un punto di riferimento collettivo e che in quei mesi di apnea lo hanno trovato. Era quello che passava il convento, e conveniva augurarsi che fosse forte. Ora chiedono: andrà bene anche Draghi? Ma certo, conviene augurarsi anche questo. Ma intanto ringraziamolo. Vi fa bene. E comunque è più salutare dell’adrenalina messa in circolo dai gladiatori.
Poi pensate al futuro. Al Recovery Fund. Informatevi. Sognate. Lottate per avere risorse che generano altre risorse. Accogliete chi ha paura di non farcela e mettetevi nei suoi panni. Aiutiamoci, perchè la malattia di uno è la malattia di tutti. E coltivate la vostra parte femmina. Materna. Il mondo ne ha un disperato bisogno.