Ma scusa, Alessandro Borghese, tu come stai trattando i tuoi figli!? E tu, Briatore, stai per caso allenando il tuo erede alle durezze del mondo? Ti sei chiesto se dovesse anche solo sentirsi partecipe delle fortune che hai accumulato, immagino con lacrime e sudore? La storia dei giovani che non vogliono più faticare come un tempo sollevata da Briatore (imprenditore) e Borghese (chef mediatico) è avvilente. Per loro ma soprattutto per voi, per noi adulti, gli unici a cui far eventualmente risalire le loro colpe. Dopo averli coccolati, protetti, riempiti di gadget e sicurezze, dopo aver schiaffeggiato gli insegnanti “cattivi” e chiunque si provasse ad innalzare “inaccettabili” ostacoli, ora li additate come viziati e smidollati. Gli abbiamo servito su un piatto d’argento un mondo malato, ingiusto e bellicoso: sarà il caso di chiederci perchè non trovano una ragione per lavorare la domenica o il primo maggio per due piatti di lenticchie anziché godersi gli ultimi scampoli di pace che la guerra più angosciante e più inaspettata – dopo due anni di pandemia – sembra per esempio riservarci?
Ebbene sì Vostro Onore, prendo la parola a difesa dei ragazzi che girano per casa mia e che seguo per passione o per sentirmi utile. Cristina ha origini filippine e a 8 anni già si occupava della casa e dei fratelli. Ha 17 anni e sa fare tutto. Le affiderei un esercito. Ha molte ombre, molte tristezze, da sempre vede le diseguaglianze e ne soffre. E’ divisa fra le contraddizioni e le ragioni di sopravvivenza della famiglia immigrata in Italia 20 anni fa, e l’opulenza soprattutto culturale dei coetanei fiorentini. L’estate scorsa ha detto: voglio lavorare. L’hanno presa senza neanche guardarla in faccia in una struttura ricettiva. Tutti come lei, figli di immigrati. Dopo dieci giorni aveva la tallonite. Ma taceva e continuava. La facevano dormire in uno sgabuzzino. Turni massacranti. Urlavano tutti, soprattutto i capetti intermedi, ragazzi come lei ma con un anno di anzianità di lavoro in più. Un sistema semplice, arcaico: minacce e stato di terrore per ottenere il massimo della prestazione. Per non parlare delle questioni economiche, fiscali e legali (lei minorenne). Lasciamo perdere. Quando ha raggiunto la somma necessaria per pagarsi la scuola guida – era questo il suo obiettivo – ha sbattuto l’uscio e se n’è andata. E’ ancora sana, ho pensato: subisce fino a un certo punto e poi si ribella. Brava.
Anche Paolo voleva mettersi alla prova. Lui ha finito il tecnico turistico ed era pronto ad entrare a pieno titolo nel magico mondo del lavoro. Voleva farsi una professione. Lo hanno preso o lo hanno sbattuto ai tavoli. Mattina, pranzo, cena, pulire, servire, lavare i piatti, qualsiasi cosa ci fosse da fare e senza contributi. E va bene, primo lavoro. Ma vuoi almeno parlarci mezz’ora per capire chi hai davanti, quali sono le sue aspirazioni, e soprattutto vuoi insegnargli qualcosa, farlo sentire su un percorso di apprendistato? Niente. Faticare come un mulo e via andare. Facevano così anche con i nostri genitori? Era un altro mondo, non fate paragoni. Anche lui dopo un po’ ha smesso. Ora vaga per la città in cerca di un’ispirazione. E’ un ragazzo dolcissimo, serio, la sua è una famiglia normale, senza santi in paradiso: qualcuno vuole aiutarlo a fare i primi passi nel mondo del lavoro?
Se c’è una cosa che ho imparato a non fare, come madre, è giudicare i figli. Ogni accusa mossa a loro mi ritorna addosso come un boomerang. Se loro sono sbagliati, qualcosa ho sbagliato io. Dite che dobbiamo dividere la responsabilità con il mondo esterno? Con la società? Concordo. Ma è per questo che scrivo di getto la piccola arringa che state leggendo. Cara società, prenditi carico di questi figli del nostro tempo senza retorica, senza offenderli, ma mettendo regole chiare e giuste per tutti. Allenali al lavoro ristabilendo parametri, paghe minime, orari giusti, riesumando la pratica dell’apprendistato e della crescita professionale. Dimostra di essere interessata a loro, non solo al tuo profitto o alle tue emergenze, seppure comprensibili. Guardali in faccia, chiedi come stanno, cosa desiderano, cosa frena il loro sviluppo e la voglia di dare il massimo. Perchè tu fai finta di non saperlo, cara società, ma lo sai: sono ragazzi, e per dare di più devono sentirsi utili, devono sapere che gli stiamo dando fiducia. Che li stiamo guidando. Se noi siamo allo sbando, perchè loro dovrebbero essere dei santi? Buon primo maggio, ragazzi. Il futuro è comunque nelle vostre mani.